07 maggio 2012

giacomo bianco

Non sono mai stato un grande fan dei White Stripes, ne' dei The Dead Weather, ne' dei Raconteurs, però quando ho saputo dell'uscita di un disco solista di Jack White, mi si sono rizzate le antenne.
Parliamoci chiaro: quest'uomo ha un talento decisamente fuori dal comune. Poi possono piacere certe cose più che altre, ma per me è indubbio che quello che ha fatto come autore, batterista, chitarrista e anche come produttore è qualcosa che raramente si trova in un ragazzo così giovane.

Insomma stavo dicendo: ero molto cuorioso di sentire l'esordio solista di un artista così prolifico. Cioè, certi dischi vanno ascoltati quanto meno per una sorta di rispetto.
Non avevo aspettative nei confronti del disco perché - come detto - quest'uomo ha fatto così tante cose e così diverse tra loro che non sapevo da che parte pendesse l'ago della bilancia.
Cioè, Jack, tu - sì proprio tu, Jack - che cosa vuoi fare della tua vita, musicalmente parlando?

Beh, la risposta dentro a questo disco è: tutto. Voglio fare tutto. E non rinnego niente.
Sì, perché il disco è quanto meno eterogeneo: blues, folk, rock, indie, ballad. C'è un po' di tutto, insomma. Basta vedere i primi due singoli, "Love Interruption" e "Sixteen Saltines", che forse corrispondono agli antipodi delle scelte musicali che Jack White ha operato per completare la scaletta della sua opera.

Comunque un disco che si mertita un bel 7/10 in pagella.
Lo conferma il fatto che da un paio di settimane è in heavy rotation nelle mie orecchie.


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